S. Bianchi: I cantieri dei Cantoni

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Titel
I cantieri dei Cantoni. Relazioni, opere, vicissitudini di una famiglia della Svizzera italiana in Liguria (secoli XVI-XVIII)


Autor(en)
Bianchi, Stefania
Erschienen
Genua 2013: Sagep
Anzahl Seiten
296 S.
Preis
URL
Rezensiert für infoclio.ch und H-Soz-Kult von:
Nicola Navone

Frutto di ricerche condotte tra Cantone Ticino e Liguria – i due poli tra cui si sono dipanati, negli ultimi anni, gli studi di Stefania Bianchi –, il volume è la rielaborazione della tesi dottorale sostenuta all’Università di Lucerna sotto la direzione di Jon Mathieu, già segnalata con una menzione speciale nell’edizione 2011 del premio Migros Ticino per le ricerche di storia locale e regionale della Svizzera italiana.

Oggetto dell’indagine è la famiglia Cantoni di Cabbio, nella Valle di Muggio, che per tre secoli ha praticato l’emigrazione di mestiere nel campo dell’edilizia, in prevalenza in Liguria e in particolare a Genova, epicentro dell’attività dei suoi membri lungo un arco di tempo che da Bernardo Agustoni Cantoni (Cabbio 1505-Genova 1580 ca.), tra i principali collaboratori dell’architetto Galeazzo Alessi nel vasto cantiere di Strada Nuova (l’attuale via Garibaldi), conduce sino a Pietro Matteo (Cabbio 1724-1798) e Rocco Cantoni (Cabbio 1731- 1818), abili stuccatori attivi nelle sale di Palazzo Ducale sotto la guida dei «cugini» di Muggio, i fratelli Simone e Gaetano Cantoni, protagonisti del rinnovamento neoclassico della Superba.

Chi si aspettasse, date queste premesse, un saggio di storia denso di note ma lieve d’apparati iconografici, o viceversa una dettagliata guida storico-critica alle opere dei Cantoni, sul modello della fortunata collana «Artisti dei laghi. Itinerari europei», resterà sorpreso nello sfogliare l’elegante volume patinato e nel verificarne la struttura perfettamente binaria, che al saggio, articolato in sei capitoli, inteso a ricostruire l’opera dei Cantoni, le loro relazioni familiari e professionali, il contesto d’origine e di arrivo, fa seguire un ricco apparato iconografico che ne documenta i principali lavori, accompagnato dalla trascrizione di lettere e conti di fabbrica tratti dalla vasta documentazione reperita dall’autrice. Ed è appunto questa seconda parte, estesa quanto a numero di pagine come il saggio che la precede (pure generoso di illustrazioni), a conferire alla pubblicazione un carattere per così dire ibrido, nel quale il rigore della ricerca scientifica convive con il fasto (sia detto senza ironia) del coffee-table book: benché susciti perplessità la scelta di limitarsi a una sorta di repertorio iconografico e documentario, rinunciando a schede descrittive e analitiche utilissime a raggrumare attorno a ogni singola opera la messe di dati dispersa nella vasta fattura del saggio.

Frutto di una ricerca paziente animata da un’appassionata adesione all’oggetto indagato e sorretto da una prosa che si accende talvolta d’un improvviso lirismo, il volume di Stefania Bianchi si cimenta nel generoso tentativo di restituire un’immagine d’insieme di vicende complesse e articolate, e di conciliare la storia economica con la storia sociale, la meticolosa ricostruzione della trama di relazioni familiari e professionali imbastite dai Cantoni con la storia dell’architettura genovese tra XVI e XVIII secolo. Tra gli aspetti rilevati da Stefania Bianchi, spicca l’«abilità imprenditoriale» di questa famiglia, fondata sulla «capacità di anticipare capitali per l’acquisto del materiale edilizio e di gestire il lavoro di squadra affidato a compatrioti» (p. 101), garantendo una non comune rapidità di esecuzione. È noto come queste siano caratteristiche degli architetti e delle maestranze provenienti dall’attuale Cantone Ticino, di cui abbiamo numerose attestazioni anche in altri contesti di attività. Quel che importa rilevare, però, è il giro di anni in cui esse si manifestano nel caso dei Cantoni e in particolare di Bernardo, la cui affermazione sulla scena genovese precede di almeno tre decenni quella della «impresa Fontana» a Roma, con la quale si è soliti far coincidere l’inizio della preminenza degli architetti e delle maestranze ticinesi nell’Urbe. Che cosa determina, dunque, l’ascesa di Bernardo Cantoni nei cantieri genovesi? O meglio: la sua ascesa si fonda su un diverso modo di operare all’interno di quei cantieri? E se di questo si tratta, quali condizioni hanno fatto sì che questo diverso modo potesse affermarsi? Questioni che sollecitano, credo, un supplemento d’indagine soprattutto in ottica comparativa.

Tra i meriti del volume, vi è soprattutto quello di rammentarci la complessità di un fenomeno migratorio che sfugge a rapide generalizzazioni, manifestando declinazioni diverse e non di rado contrastanti (endogamia vs. esogamia, conservazione vs. rescissione dei legami con la regione d’origine, e così via) che sollecitano l’analisi di uno spettro quanto più ampio possibile di casi analoghi e indagini fondate, appunto, su un approccio comparativo: un’opera corale alla quale il lavoro di Stefania Bianchi offre un ulteriore contributo.

Zitierweise:
Nicola Navone: Rezension zu: Stefania Bianchi: I cantieri dei Cantoni. Relazioni, opere, vicissitudini di una famiglia della Svizzera italiana in Liguria (secoli XVI-XVIII), Genova, Sagep, 2013. Zuerst erschienen in: Archivio Storico Ticinese, Vol. 157, pagine 161-162.

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Zuerst veröffentlicht in

Archivio Storico Ticinese, Vol. 157, pagine 161-162.

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